mercoledì 18 settembre 2013

Lucio Dalla, quale allegria


"Il giorno di domani, sarà tutto per te, un goccio di caffè, una zaffata di vento"

Tre giorni soltanto al quattro marzo. Lucio Dalla non è riuscito a festeggiare il compleanno, 69 anni, con Gesù Bambino, un tipo strambo che abita con i gatti in piazza Grande. È rimasto a Montreux, ucciso da un infarto. Era in tour, infaticabile musicista operaio. Morto sul lavoro in Svizzera, come Pablo, il protagonista della canzone firmata con De Gregori. Se n'è andato così, d'improvviso. L’ultima sorpresa, dolorosa stavolta, di Lucio che in 50 anni di carriera ha attraversato generi e pentagrammi con passo leggero e veloce. E noi dietro, a inseguire quell’uomo piccino, che con geniale autoironia si era trasformato egli stesso in un personaggio, sorta di buffo fumetto. L’uomo-icona dei cappellini e gli occhiali grandi che quando cantava, però, riusciva a emozionarci. A emozionare almeno cinque generazioni. Per ognuna una canzone del cuore, un ricordo, un flash da archiviare nella memoria. Lui in bianco e nero a Sanremo, lui nei musicarelli vestito da cowboy, lui e la poesia di Roversi, lui e Banana Republic, lui e Caruso, lui infine che dirige Pierdavide Carone.  Dalla era un alchimista. E come tale è stato in grado di trasformare la canzone in materia viva, una specie di elastico. Tirava gli accordi Lucio, li compattava, li allungava a dismisura e ci cuciva sopra versi funambolici. Tutto molto semplice e semplicemente incantevole.

Nato a Bologna nel ‘43 è stato artista a tutto tondo, dotato di grande intuito anche nella scelta di partner e collaboratori, contraltari e soci. Da Paoli a Ron, da Morandi agli Stadio, da De Gregori alla Baraldi. Una carriera generosa iniziata dalle parti del jazz quando era ancora un ragazzino, continuata negli anni Sessanta, ai tempi del beat, quando cantava scat con i Flippers e si ostinava a esibirsi scalzo. Nel 1966, accompagnato dagli Idoli, il primo disco. Materiale grezzo, voce da strillatore, brani in bilico tra il cinico e il disarmato, il disincanto poetico e il cazzeggio, ovvero quella che nel tempo diventerà la cifra stilistica dell'artista. «Ascoltavo Mingus e Thelonious Monk e la sera suonavo in balera. La gente fischiava, mi tirava dietro qualunque cosa. Pomodori, derrate alimentari. Erano allegri bifolchi che si divertivano e io mi divertivo con loro. È stata la mia palestra. Se si sopravvive si diventa forti» raccontava all’Unità nel ‘79. Così riuscì a sopravvivere anche quella notte, quel 27 gennaio del 1967, vicino di stanza di Tenco a Sanremo. E il giorno dopo salire sul palco e cantare Bisogna saper perdere, un paradosso crudele più che un pezzo. Negli anni Settanta la svolta con 4 marzo 1943 su testo di Paola Pallottino.

L’impegno prende il sopravvento sul ribellismo da urlatore grazie all’incontro con Roberto Roversi: quattro anni folgoranti, tre album spettacolari: da Il giorno aveva 5 teste, tutt’ora un gioiello autorale per raccontare l’Italia operaia, ad Anidride Solforosa fino alla ruggente bellezza di Automobili. Parto difficile e divorzio con Roversi e l’inizio del lavoro in solitudine segnato nel 1977 da Com’è profondo il mare, un capolavoro. Piovono le critiche, i processi sommari nei Palasport e nelle radio libere: ll sovversivo Dalla si è venduto. Lui, sopravvissuto agli ortaggi e alla morte di Tenco, va avanti. Nel ‘79 esce Lucio Dalla, l’album che lo consacra. Un milione di copie vendute. Nell’80 replica con Dalla che contiene Futura. Avete idea di quante (ex) bambine si chiamino così?

 E poi arriva il tour con De Gregori, quel Banana Republic da record, lui il santone del pop assieme al ragazzo timido del Folkstudio. Replica nel 2010. E poi, poi tutto il resto, la fulgida Caruso, e mille altre passioni: dall'omaggio al Napoli alle derive colte dedicate ora a Empedocle ora a Stravinskij. Parabola più dimessa nel finale ma interpretata sempre con travolgente personalità, faccia tosta, senza paura insomma. Il funerale è stato già celebrato in Rete con migliaia di post e canzoni, con lo sketch di Borotalco di Verdone e i tweet tristissimi. Lo piange tutto il mondo della canzone e dello spettacolo: da Celentano a Jovanotti, da Morandi all’amico Ron. Lo saluta con un messaggio anche il Capo dello Stato Napolitano che ne ricorda «la voce forte e originale» tanto amata dagli italiani. A Bologna la casa di Dalla è chiusa ma dalle finestre arrivano le sue canzoni. Tre giorni al quattro marzo. Quale allegria.

Daniela Amenta
 (L'Unità 2 marzo 2012)

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