domenica 26 gennaio 2014

Gigi Paraggi e la notte putiferia




nel quartiere viale marconi o diventavi coatto, o soccombevi. prendevi sganassoni che levate anche perché la peggio gioventù stava là . quelli della magliana ce stavano, e certi fasci torvi e incazzati, pippati e black, de rapina, de morti ammazzati. pronti a tutto. mannaggia a loro. grossi e 'nfami, appostati al bar subrizi, che era un covo de casino, e se non ti sapevi difendere te la vedevi brutta. a rischio de portaje i cappuccini tutta la vita. se t'andava bene.

l'idolo nostro fu quindi gigi paraggi che era un nano, alto come noi rigazzini. gigi non era propriamente nano, aveva un morbo, che si chiama osteogenesi imperfetta che gli rendeva le ossa piccole e fragili, e gli occhi di un indaco nebbioso. poi si scoprì che anche un re importante stava come gigi nostro, e il jazzista petrucciani, l'uomo che faceva ridere il pianoforte e impazzire le donne, l'artista che suonava tutta la fretta del mondo perché non c'aveva tempo da perde. e infatti quando ascolti 'sta musica meravigliosa, cascate di note d'argento e tramonti sui pianeti pazzeschi, pensi che gigi si meritava intorno gente come a michel, e dischi di diamante fuso all'antracite e a fiori di pesco di giardini. a cose bellissime, insomma. mortaretti de stelle.

invece gigi nacque a viale marconi. e a viale marconi ce stavamo noi, solo noi, co le bolle in faccia e le magliette strette strette alla moda de raffaella carrà. era intelligentissimo, però. un essere superiore nonostante la statura minuscola. una lingua da crotalo. sveglio, cazzuto. cattivo ma equo. e nessuno si permetteva de pijallo in giro.
il sogno di gigi era di poter gareggiare nel derby calcistico marconese-ostiense, in porta. ma questo, nonostante venisse rispettato pure dalla banda del bar subrizi, non gli fu mai consentito. cosicché gigi ci schierò a noialtri rigazzini nell'epocale match che si svolse nella marana teverina, precisamente al campetto infernale lungotevere di pietra papa, un posto tanto lercio e zozzone che anche gli zingari s'erano rifiutati d'accamparsi. il match dei match andò in notturna, con il contributo di quattro fiat e un par di motorini che ci spararono addosso le luci dei fari per illuminare il rettangolo di giuoco.

eravamo un 4-4-2 classico, detti la squadra der nano, tutti nani, anni compresi tra 11 e 13, vestiti di rosso perché gigi disse: "dovemo sembrà diavoli e marziani, esseri imprendibili e un po' malvagi, e sfonnali psicologicamente". in porta il nostro lev jashin coi guanti di lana acquistati all'upim che "la lana trattiene la sfera di cuoio che se incolla ar tessuto".
contro avevamo il real san paolo, che s'allenava in basilica. gente grossa di 17 anni e più. finì con un pareggio, e quindi vittoria per noi, e gigi paraggi l'immenso che parò un corner radente e infido. la sua prima, ultima parata. gigi se ne morì come avevano detto i dottori, che non sarebbe mai arrivato ai 30anni. ne aveva 29 il giorno del match. ne uscì in trionfo e a quelli del bar subrizi glielo disse. gli disse: "d'ora in poi a tre palmi dal culo de sti rigazzini, sennò ve faccio magnà er core". e quelli zitti.

nella chiesa santi cosma e damiano, che non era una chiesa ma un garage, partecipammo tutti al funerale. don angelo ci permise di fare la messa beat. cantammo per lui, il nostro amato gigi, la canzone “il testamento di tito” con don angelo che s'attappava le orecchie per via dei brividi apocrifi.
fu il mio primo amichetto morto, il maestro d'arte coatta. che è morto, però, lo capisco solo oggi. che c'è un cielo d'indaco nebbioso.
bella gi', ce manchi.

daniela amenta
2003



venerdì 24 gennaio 2014

Certe estati a Tormarancia

sottotitolo: quando ingravallo liberò il cane
(e successe l'iradiddio)



accadde l'anno scorso, nella notte tra il 14 e il 15 di agosto. il quartiere venne svegliato da un mugolio lugubre, un latrato di tragedia. in molti pensammo a un incidente a camillo, che è il cane del quartiere nostro, tormarancia (ce l'ha scritto pure sulla medaglietta). in molti ci affacciammo. e all'alba scoprimmo. sulla terrazza di un attico lo sconsolatissimo husky. rimase sulla terrazza, sotto un sole da tremila gradi, per tutto il giorno. su e giù. disperato. la serranda della finestra abbassata, e il cane su e giù, a infilare un muso triste e bianco tra le fessure del balcone.

rapida consultazione tra i vicini. "ma sto cane? ma che l'hanno abbandonato? ma l'hanno chiuso fuori, ma ce l'avrà  l'acqua? e da magnà sta bestia ce l'avrà??". quello del secondo piano, padrone di nerone, ci rincuorò dicendo che i proprietari dell'husky li conosceva, brava gente, che mai e poi mai l'avrebbero accannato.

e passò il 16 e a metà del giorno 17 di agosto. e ci iniziammo a preoccupare per davvero. l'husky piangeva come un vitello su e giù sulla terrazza rovente. fu allora che dal primo piano un urlo attraversò la tromba delle scale. "chiamiamo ingravallo". ingravallo, ex milite in pensione, è maresciallo nell'anima. di maresciallo ha l'alito, i peli nel naso e il passo piatto. ingravallo non parte mai nei giorni topici dell'anno e monitora il rione con sguardo d'aquila miope.

"marescià è successo questo e questo altro. mo so passati tre giorni. temiamo per il cane, dice che se chiama rollo, pora bestia". ingravallo precisissimo, chiese di visionare la scena da uno delle "postazioni" (traduzione: balcone). sopra l'attico incriminato c'è¨ la terrazza condominiale. e ingravallo disse: "domani mattina informo il comando generale centrale. interverranno loro. è¨ una faccenda delicata. queste bestie di razza aschi sono montanare, ormai so tre giorni che sta al caldo della fornace. può esse che sia ferito e/o disidratato".


quella notte dormimmo tutti poco e male, nell'attesa dell'intervento risolutore. dormimmo male ma il poco fu sonno de piombo.  e infatti non sentimmo il casino in casa dell'husky.

ingravallo, complice il buio, pensò di farci una sorpresa calandosi dalla terrazza condominiale per liberare il cane prigioniero. era già  planato, con un salto aerobico de una metrata. ma in contemporanea erano tornati i proprietari sfaccimmi della bestia montanara che un altro po' denunciano ingravallo-il-prode per infrazione di proprietà privata, furto, rapina e due intere paginette del codice penale.

anche allora fu grande, ingravallo. si ripulì le mani, accarezzò il cane sul capoccione. disse: "le bestie o se tengono bene, o niente. ve denuncio io per maltrattamenti, altro che cazzi".

poi si scopri che i proprietari sfaccimmi si erano assentati per via di un urgente ricovero in ospedale e che la vicina loro ci aveva le chiavi e che l'husky di nome rollo, ci aveva acqua e cibo a carrettate ma per malinconia aveva scelto di stazionare sull'assolato balcone.

ora ogni volta che rollo incontra ingravallo ringhia che è una bellezza.

daniela amenta
2004

mercoledì 8 gennaio 2014

Otto gennaio 1951

Questo post è in memoria di Claudio Rocchi. Oggi avrebbe festeggiato 63 anni.


Il volo magico non si è interrotto. Di sicuro continua altrove. Sopra le pietre nere della Sardegna, le vette dell’Himalaya, tra le note, lo zen e l’arte della manutenzione del cuore. 

Claudio Rocchi, musicista, se n’è andato. Aveva 62 anni, nato a Milano l’8 gennaio del 1951, che poi è il titolo di un suo pezzo bellissimo, struggente. L’ha colpito a sorpresa una malattia degenerativa alle ossa. L’aveva raccontato lui stesso su Facebook, a fine maggio, ma senza piagnistei.

«Il buonumore tiene, la coscienza pure, il libro è iniziato stamane». Il libro era la sua autobiografia, La settima vita. E di cose da raccontare ne aveva Claudio. Un’esistenza pienissima, luminosa e ricca. Proprio come lui. Aveva cominciato nel circuito del rock alternativo, negli anni Settanta, come bassista degli Stormy Six. Poi la carriera da solo: visionaria, mistica, aerea, psichedelica: il primo disco acustico nel 1970 con Mauro Pagani, Viaggio, e poi Volo Magico numero 1, un capolavoro. Parte in India, torna e scrive Essenze facendosi accompagnare da Elio D’Anna degli Osanna e Mino De Martino dei Giganti.

Una vita pienissima. E tanta musica da far girare la testa: da Trilok Gurtu a Paolo Tofani degli Area, da Alice a Battiato, da Alberto Camerini a Franco Mussida... E tanta radio, programmi di culto come: Per voi giovani e Pop Off sulle frequenze di Radio 2. Proprio con Tofani aveva fondato il network nazionale RKC (Radio Krishna Centrale) con programmi dedicati a Vishnu, alla meditazione, alla spiritualità.

Negli anni Novanta continua a comporre: scrive musica, scrive poesie, sostiene l’apertura di «Re Nudo», la rivista underground, interpreta una parte nel film Musikanten di Franco Battiato. Non si fermava mai, Claudio, l’inarrestabile, il solare, innamorato dell’universo e delle sue creature: ascoltare per credere Sacred Planet, musica cosmica e sciamanica. Era magico, era gentile, era ispirato, con quella dose di follia che lo spinse a ideare e realizzare progetti apparentemente assurdi: nel 1999 nuova svolta, addio amici, si parte.

Per andare in Nepal dove rimase tre anni, fondando a Kathmandu, la prima radio indipendente nazionale «The Himalayan Broadcasting Company». Ne parlava con gli occhi che brillavano, che storia quella radio... Che emozioni quella gente, quei luoghi, quella valle sacra per gli indù e i buddhisti. Era un monaco, Claudio, un uomo che camminava a qualche centimetro dalla terra e la osservava con amorevole compassione. Dopo il Nepal un’altra grande sbandata: la Sardegna. 
Aveva trovato una casa a sud di Oristano, vicino a una montagna di pietra nera, da dove si vedeva il mare. All’isola dedicò anche un film, Pedra Mendalza. Era così Claudio Rocchi. Un vulcano in ebollizione. Uno sperimentatore. Un rivoluzionario. Uno che a un concerto di militanti comunisti a Ravenna fece ascoltatore il battito cardiaco di sua figlia nella pancia della mamma. Uno che continuava a fare quello che gli passava per la testa. Per esempio collaborare con una band dell’area psichedelica piemontese, gli Effervescent Elephants, ma soprattutto a fare musica con Gianni Maroccolo (ex Litfba, ex Csi). 

Un progetto bello - Vdb 23 /Nulla è andato perso - con disco, dvd e libro e i fondi trovati in rete grazie al crowdfunding. Un progetto al quale aveva aderito anche l’amico di sempre, Battiato. Rocchi raccontava spesso delle sue vite precedenti («aspirante santo», «aspirante pop star»), aveva mille aneddoti, aveva visto cose che noi umani fatichiamo anche a immaginare. A un certo punto aveva incontrato anche l’amore, Susanna Schimperna, alla quale dedicava (ampiamente ricambiato) meravigliosi post su Facebook e che sognava di sposare. L’altra notte una crisi più grave: pressione bassa, difficoltà a respirare. E poi ieri il tracollo.

Credeva nella reincarnazione e della morte non aveva paura («sostanziamente non esiste») ma lascia un grande vuoto in chi l’ha conosciuto, nei tanti fan guadagnati nel corso di una carriera che ha toccato ogni genere, che si è sempre rinnovata, guardando avanti, verso le nuvole, lungo la linea infinita dell’orizzonte. Buon viaggio, Claudio. Il volo magico è appena iniziato.

Daniela Amenta
L'Unità 19 giugno 2013