mercoledì 25 dicembre 2013

L'albero di Natale alla stazione Termini

I rami più bassi pendono, stracarichi di messaggi. Qualcuno cerca di arrampicarsi come può pur di infilzare il proprio bigliettino, dire la sua, augurarsi un pezzettino di felicità, augurarla agli altri. Lo chiamano «l'albero dei desideri»: un semplice abete con i festoni, piazzato all'ingresso della Stazione Termini di Roma. Lo addobbano migliaia di foglietti che sono la fotografia di questa Italia stanca, spesso spaventata e ondivaga, che coltiva nel profondo sogni, bisogni, incanti. È come un muro questo abete grande e grosso che raccoglie speranze e guizzi, pensierini scemi e teorie di futuro. Un muro su cui lasciare la propria firma, il messaggio nella bottiglia. 
La leggenda metropolitana racconta che la prima ad attaccare sui rami un bigliettino fu una clochard: era il 2005. La donna cercava di dormire tra i cartoni e un vecchio sacco a pelo ma c'era troppo rumore. Trovò un foglio di carta e una penna, scrisse: «Caro Babbo Natale portaci un po' di silenzio, per favore. Anche noi abbiamo diritto di riposare». Poi, sono arrivati gli altri. Tanti, tantissimi. Dai turisti che passano dalla stazione e salutano Roma in tutte le lingue del mondo ai pendolari che aspettano un treno in perenne ritardo, dai passanti infreddoliti ai cassaintegrati dell'Agila che hanno raccontato la loro protesta, la sofferenza, la paura servendosi anche dell'albero di Termini, dai migranti agli studenti. 

Un abete come cassetta della posta, letterine di adulti indirizzate a Gesù Bambino o a Santa Klaus. Lo specchio di un Paese che ha fame di lavoro, soprattutto. La maggioranza dei messaggi chiede un posto, un'occupazione, un progetto per guardare al futuro. Nel 2010 una donna attaccò la propria busta paga da 600 euro al mese. Scrisse: «Vedi se puoi fare qualcosa di meglio». Oggi c'è chi appunta il proprio curriculum, come un ragazzo di Gugliano, diploma tecnico in ristorazione, nato il 24 dicembre del 1991. Nato proprio a Natale. Chissà se da qualche parte c'è anche per lui una piccola stella cometa. E poi Giulia che su un foglio di quaderno aggiunge: «Fammi lavorare. E visto che ci sei porta pure la pace sulla terra». 

C'è chi prepara il proprio messaggio a casa, in bella calligrafia, ci aggiunge disegni e colori. Ma i più scrivono su una panchina, per terra, appoggiati sui corrimano. Scrivono di getto, sul retro di uno scontrino della spesa, su un pezzetto di manifesto pubblicitario staccato dai muri, su di un foglio stropicciato. Pensieri e parole di carne in questi anni virtuali, sintetici. Sui rami c'è di tutto. E c'è posto per tutti. Strati di pezzi di carta, uno sull'altro. C'è chi chiede di avere un bambino, chi spera di incontrare l'amore o di tenerselo, chi sogna un viaggio, un diploma, più soldi, una vittoria magari alla Lotteria o un trofeo per la propria squadra del cuore. C'è chi augura semplicemente buon Natale, chi - come Mauro – «vorrebbe la forza e il coraggio di lasciare questo Paese per sempre». C'è chi disegna cuori e chi manda al diavolo tutti «i politici ladri e infami», c'è chi insulta e chi immagina un nuovo anno bellissimo. C'è anche chi pensa agli altri come Nadia e Fabrizio che in una lunga lettera scrivono: «Caro Babbo Natale, io e e il mio compagno avremmo molte cose da chiederti in regalo, tra le quali un lavoro che ci permetta di vivere dignitosamente. Ma siamo abbastanza giovani, forti e guerrieri. E quindi ci sentiamo obbligati a chiederti un'altra cosa. Devi aiutare Francesca e Concetta, le ultrasettantenni che vivono sui marciapiedi della Stazione Termini in Piazza dei Cinquecento, da oltre 30 anni visibili a milioni tra turisti e pellegrini, ma invisibili alle istituzioni. Ti preghiamo di rendere dignità a loro, al popolo romano e a quello italiano». 

L'albero accoglie qualunque desiderio. Qui non si può aggiungere «mi piace» come su Facebook, non si può condividere come su Twitter. Pensieri e parole restano lì, immobili, scolpiti, fino alla fine della feste. Poi spariscono quando l'abete viene portato via con i festoni d'argento, quando le lucette si spengono. Peccato. Sarebbe bello tenere da parte queste lettere d'Italia all'Italia, che scandiscono il trascorrere del tempo attraverso gesti tanto semplici quanto antichi. Sarebbero da conservare questi desideri, sperare che almeno qualcuno si sia realizzato. E che l'albero di Termini, muto e immobile, possa un giorno trovare la voce per raccontare un Paese migliore.

Daniela Amenta
(L'Unità 24 dicembre 2013)