giovedì 24 luglio 2014

Il rock è morto (bisogna inventarsi qualcos'altro). In memoria di Freak Antoni

Il 12 febbraio 2014 è morto Freak Antoni, cantante e paroliere degli Skiantos, "maestro" del "rock demenziale", bolognese. Ucciso da una grave malattia, aveva 59 anni





Permettete che per salutare Freak Antoni io parta da un ricordo personale. Un concerto organizzato a Roma nel lontano 1986, una rassegna di “Rock demenziale” all'Uonna Club con gli Skiantos, Lino e i Mistoterital, Sandro Oliva, i Sentinels. All'epoca non c'erano cellulari, non esisteva Internet. Si comunicava con il vecchio telefono. Roberto Antoni, detto Freak, aveva il mio numero di casa e spesso a quel numero rispondeva mia madre. Non so come, ma tra lui e mamma si instaurò una specie di rapporto a distanza, anche dopo lo show. Freak telefonava con il suo accento bolognese e chiedeva: “Ma oggi che cucina signora?”. E stavano lì a parlare tranquilli di pelati e spezzatino. 

Freak Antoni era un demonio sul palco, un provocatore, forse il più grande punk d'Italia. Eppure nella realtà era un uomo timidissimo e gentile che domava i suoi demoni correndo sul filo teso del paradosso. Una vita tra draghi e droghe, vita irriducibile e scatenata. Ci lascia a 59 anni, nato sotto il segno dell'ariete il 16 aprile nel 1954. Ci lascia il grande sognatore, il contraltare in musica di Andrea Pazienza, la voce graffiante e i versi al cianuro. 

Inventò il rock demenziale, ovvero l'unico stile autoctono, originale mai partorito in questo Paese. Inventò una grammatica sonora, cantando rime baciate e apparentemente assurde in italiano, lanciando invettive fulminanti, raccontando il mondo velocissimo e confuso dei ragazzi del '77. Ai concerti insultava i fan, la folla. Resta scolpito quel pezzo, manifesto d'intenti, “Fate largo all'avanguardia” che nella strofa successiva recita: “Siete un pubblico di merda, applaudite per inerzia. L’avanguardia alternativa non fa sconti comitiva, l’avanguardia è molto dura e per questo fa paura”. 

A Bologna, nel 1979, per il primo immenso summit del movimento, gli Skiantos portarono sul palco del Palasport un frigo e invece di suonare iniziarono a cucinare gli spaghetti. Accadde di tutto, volò di tutto. “L'apice o il fondo della provocazione. Una questione di punti di vista”, ebbe a dire Freak anni dopo. Era un ragazzo del Dams, Roberto. Che con Dandy Bestia e il resto della mutevolissima banda prendeva in giro sia gli autonomi che i karabigneri, le frasi fatte, la “para dura”, le sbarbine, il kinotto (“la bibita del teppista morbido”), l'eptadone. 

Gli Skiantos cominciarono con una cassetta, furono notati prima da Oderso Rubini e poi dalla Cramps, incisero dischi incredibili, dischi totem fino almeno al 1987, l'anno di “Non c'è gusto in Italia a essere intelligenti” che è anche il titolo di uno dei nove libri scritti da Freak. Un altro da segnalare è proprio “Stagioni del rock demenziale”, piccola bibbia surreale e dadaista per dire che poiché “il rock è morto bisogna inventarsi qualcos'altro”. Folle, esilarante, indispensabile. 

Il gruppo ebbe alterne fortune. Sciolti cento volte, poi daccapo assieme. Nel tempo anche il graffio, la “stravoltura continua” persero mordente. Freak si inventò mille esistenze parallele, in una fu Beppe Starnazza con i Vortici (con lui Tommaso Vittorini, Pasquale Minieri, Lele Marchitelli), band specializzata in swing-punk e nella rilettura scalmanata dei classici di Natalino Otto e Fred Buscaglione. 

Oggi ci lascia un piccolo genio. Quello che spiegava che la vita è una e tanto vale “pestare duro/suonare energico, stimolante/fare testi semplici con rime baciate/ritmi immediati che dicono tutto e non devi decifrare-capire-interpretare con atteggiamento critico. Bisogna chiarire subito quello che si vuole: io voglio godere e non soffrire”. Ci lascia Freak, che ha mandato al diavolo l'insopportabile mondo del buon senso, convinto che una risata avrebbe distrutto tutti i kattivi, tutti, nessuno escluso. 

Daniela Amenta (l'Unità, 13 febbraio 2014)