giovedì 19 settembre 2013

Little Tony, ciuffi e spade




"Notte di colpo la notte il cuore che batte è fermo oramai"

Dalle parti di Via Ostiense, Roma, proprio sotto l'Unità gira un signore vestito più o meno come Presley. Giubbottino di pelle, gran ciuffo di un nero corvino, stivali con tacco importante. Un altro che imita Elvis? Pare di no, pare che il tipo faccia riferimento a Little Tony e che oggi niente birretta al bar. Oggi ha una spada nel cuore.

E non è il solo. Ognuno ha il suo personale ricordo di Antonio Ciacci da Tivoli, il rocker de noantri di origini sanmarinesi, morto lunedì a 72 anni in una clinica romana, consumato da un mieloma. C'è chi portava la sua foto dal barbiere pretendendo lo stesso taglio, chi aveva la cugina pazza d'amore che passava ore e ore in via Gregorio VII dove Little abitava, chi conserva i 45 giri sotto vetro e chi si asciuga una furtiva lacrima. Fatevi un giro sui social network. Neanche per Ray Manzerek dei Doors tanto spiegamento di omaggi (essì che la Rete è insuperabile a celebrare il lutto collettivo, ci sguazza come una prefica).

Su Facebook risuona compulsivamente Cuore matto, su Twitter #LittleTony è l'hashtag più rilanciato. Lo piangono i colleghi - da Emma a Giuliano dei Negramaro, da Finardi all’amico del cuore Bobby Solo - e soprattutto lo piange la gente comune con cui aveva stabilito un rapporto empatico, solido. Gente invecchiata con lui in allegria canticchiando «Dimmi la veritààààààààààà». Gente a cui regalò la colonna sonora degli Anni Sessanta, così spensierata, lieve, semplice. Uguale a un’Italia che non esiste più.

Faceva simpatia quell'ex ragazzo matto per Little Richard e Presley che intonava Tuttifrutti con la calata romanesca e che ha attraversato per mezzo secolo la canzone leggera con i pantaloni a zampa d'elefante e i cinturoni dorati. Numeri da record, i suoi: cinquemila concerti tenuti (dai ristoranti dei Castelli ai grandi teatri in America), 22 film interpretati, oltre 20 milioni di copie vendute, grande successo anche nell'Inghilterra degli anni Sessanta quando con il suo gruppo, i «Brothers», si trasferisce a Londra e sfonda nella Top 20 con Too Good , pezzo scritto da uno degli autori di Elvis. All’Ansa aveva raccontato: «Tornai in Italia senza una lira, con i jeans, il giubbotto di pelle da Teddy Boys alla Marlon Brando, gli occhiali da sole e volevo solo cantare in inglese. A Milano avevamo firmato un contratto con la Durium: avevamo fame, dormivamo in una pensione da 300 lire a notte e mangiavamo in un'osteria a 150 lire. Mi dissero che se volevo cantare in inglese avrebbero stracciato il contratto. Non avevo scelta».

Quella di aver scalato la classifica inglese era una delle medaglie che si appuntava con più soddisfazione sul bavero. «Altro che Vasco», diceva Tony l’orgoglioso. Poi c'era, c’è, tutto il resto, ovvio. La villa tipo Graceland sull'Appia con statua del Little alta quattro metri, una collezione di abiti da scena da far impallidire Moira Orfei, le parti interpretate col sorriso sfrontato nei musicarelli, la sequenza ininterrotta di Festival di Sanremo e Cantagiro, il connubio con Bobby Solo e un certo antagonismo con il Molleggiato. Nella melodia italiana Little (neppure i parenti più stretti pare lo chiamassero Antonio) inserì i battiti veloci del rock'n'roll che tanto amava, uniti a una pulsione erotica mai sfacciata, più giocata sull'occhieggiare che sul roteare del pelvico bacino.

Sex symbol casereccio insomma, ma così allegro e gioviale da risultare irresistibile per un paio di generazioni di signorine regolarmente omaggiate in Bada bambina, Riderà, Ventiquattromila baci . Nonostante lo stuolo di fan ebbe «solo» due mogli: il primo matrimonio durato vent’anni con Giuliana Brugnoli, ex hostess, morta nel 1993 per un tumore e madre di Cristiana. La seconda, Luciana Manfra, sposata nel 1999, sua corista, 25 anni meno del nostro, coetanea della figlia. La parola più ricorrente, nella lunga carriera del «piccolo Tony» è stata cuore: La spada nel cuore, Cuore Matto, Cuore ballerino, Col cuore in gola . E nel 2006 fu proprio il cuore a giocargli un brutto scherzo a Ottawa, durante uno show. Se la cavò per un soffio.

Quando si rimise in piedi decise di diventare testimonial di un prodotto anticolesterolo. Sembra che dopo quell'incidente fosse diventato ipocondriaco, più attento alla salute. Purtroppo non è servito a nulla. Così suona amaro il titolo del suo ultimo disco, del 2008, Non finisce qui . E invece la parentesi terrena dell’ex urlatore è finita e si è conclusa in grande stile grazie all’affetto della gente, la sua gente, radunata per i funerali al Divino Amore, uno dei santuari più amati dai romani. Lo celebrano loro più dei nostri «coccodrilli». Loro che lo hanno seguito nella buona e nella cattiva sorte, spellandosi le mani anche quando lo show business lo aveva dimenticato. Saranno altri 24mila baci e spade nel cuore e profumo di mare e una vita intera da salutare. Tra un ciuffo malandrino e vecchio rock’n’roll.

Daniela Amenta
(l'Unità 30 maggio 2013)

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