Come le facciate delle cattedrali gotiche, anche le copertine dei Dead Can Dance sono una delle chiavi di lettura per addentrarsi nell'universo di Lisa Gerrard e Brendan Perry. In questo caso c'è un campo di girasoli bruciati dal sole, segno che il viaggio più oscuro è terminato e che ci troviamo davanti ad un'opera terrigna ma in grado di guardare in alto. D'altraparte lo stesso titolo del disco, Anastasis, («Resurrezione» in greco) indica una svolta verso una direzione precisa. Dopo sedici anni dall'ufficiale scioglimento e da Spiritchaser, i due si ritrovano.
Una storia complessa, e con ricaschi anche sentimentali, quella tra la contralto australiana e il polistrumentista britannico. Una storia cadenzata da opere che vanno ben oltre la semplice fruizione musicale e sono parte di un viaggio intimo e profondo. Un viaggio alchemico tra inconscio e ultraterreno, esoterismo e magia. Un viaggio tra popoli e continenti, radici e lingue antichissime, cancellate, tra suoni potenti, viscerali e rimandi ancestrali. Ecco, la resurrezione dei Dead Can Dance questa volta si fa concreta. Per la prima volta nella storia della band nata nel 1981, siamo alle prese con un disco vero e proprio e non con una struttura simbolica, non con un contenitore metafisico. Canzoni-canzoni, testi-testi. Significante e significato che coincidono.
Una resurrezione costruita su tappeti armonici, voci belle, melodie ricchissime e naturalmente molto raffinate, autocitazioni ed eleganti rimandi. Lisa Gerrard resta più trasversale che nel passato, Perry dirige le danze a cominciare da Children of the sun, singolo orchestrale che vorrebbe riecheggiare le grandi aperture di An American Dream. E quindi scorrono Opium, Agape, Amnesia, Kiko, titoli suggestivi, echi orientali e celtici mescolati con gusto sinfonico. A tratti la liturgia risulta artefatta (come in Return of the She-King), a tratti annoia per la reiterazione fin troppo dilatata e monocorde e senza finale a sorpresa (ed è il caso della conclusiva All in good time). Sia chiaro: Anastasis è un lavoro di qualità ma che non travolge, non intimorisce come è sempre accaduto con i Dead Can Dance. Spariti, addolciti, rarefatti i timbri di un'esperienza sonica importante e sofferta: il pathos ancestrale di Spleen and Ideal, il transglobalismo extratemporale di The Serpent's Egg, il misticismo mantrico di Within The Realm Of A Dying Sun. Dischi che facevano tremare le vene dei polsi, spostavano l'ascoltatore in altre dimensioni e in altre epoche.
Così Anastasis sembra più il frutto di un ripensamento dopo una lunga separazione. Due vite parallele (sia Brendan che Lisa hanno folgoranti e fruttuose attività da solisti) che si ritrovano e hanno voglia di rispolverare il vecchio baule delle meraviglie ma senza aprirlo. Forse dopo un percorso così complesso, sfaccettato, difficile, dopo aver ridato voce e fatto danzare i morti, Gerrard e Perry hanno scelto una via più lieve. La via dei girasoli. La via della terra arsa e dei raggi di un sole nero. La via della vita. In fondo.
Daniela Amenta
Unità
Settembre 2012
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